Marino Massarotti

Policromie urbane in 3D

Quando ho avuto il piacere di incontrare il giovane Pietro Dente egli mi ha più volte citato, nel contesto del discorso la magica parola “sperimentazione”.
Il tono che usava per descrivere questa sua modalità di ricerca era dimesso come se volesse scusarsi di un’improvvisazione o debolezza nella sua attività pittorica. In realtà, per me, questa sua ansia di indagine costituisce un notevole valore aggiunto perché il non volersi arrestare ai risultati raggiunti è uno dei pregi nell’evoluzione di una personalità propria, questo nella vita di tutti i giorni e ancora di più nella vita artistica.
Ciò che conferisce ai “paesaggi urbani” di Dente tutta la loro magica irrealtà è quel senso di sospensione, di trasparenza di quelle pareti, della lontananza di quelle strade, dell’evanescenza di quelle facciate dietro le quali si immagina una vita reale, che però non esce mai da un’esistenza sognata. Il peso della materia è scomparso, la città incombe con la sua caotica giungla di cemento ed appare trasfigurata da una geometria e da una prospettiva perfetta che la rende ancor più un mondo di suggestioni nascoste che in alcuni casi sembrano sfiorare un incubo. Unica speranza di comunicazione (e di riscatto?) sono le vie che corrono sopraelevate ad indicare un rapporto umanizzato.
L’uomo come tale comunque non esiste e la natura è un ricordo lontano. Il tutto viene raggiunto con una grande castità di mezzi pittorici mentre il disegno è sempre capace di costruire un plasticismo teso dalla terra al cielo. Il colore è usato con una tecnica che ricorda, nella sua ricerca di singole luci ravvicinate, il divisionismo, e raggiunge risultati spesso monocromi all’apparenza visiva che celano in realtà un universo più complesso. Siamo dunque di fronte ad un astrattismo figurativo in una evoluzione che sarà interessante seguire.

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